Elettra Marconi: «Lo yacht “Elettra” divenne la nostra casa. Mi parlava già di telefoni da tenere in una tasca». – Riportiamo un articolo del Corriere della Sera –
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il 11/12/2023Intervista a Elettra Marconi
La figlia di Guglielmo Marconi, padre delle comunicazioni senza fili: mi faceva giocare con l’elettricità, nei porti c’era sempre la folla ad aspettarlo
Nel 2024 si celebreranno i 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi, padre delle comunicazioni senza fili, premio Nobel nel 1909. Sono in programma una miniserie sul grande inventore con Stefano Accorsi e un museo a cura del Comune di Santa Marinella e di Livio Spinelli a Torre Chiaruccia, la sua ultima stazione radio.
Elettra Marconi, la figlia, ci ha aperto il suo palazzo a via Condotti per ricordarci chi era suo padre.
Se pensa a lui che parola le viene in mente?
«“Radio”. Perché la comunicazione senza fili ha cambiato la vita delle persone».
C’è un luogo che glielo fa sentire vicino?
«Il mare. Se vedo il mare, penso a mio padre. Mio padre c’è dov’è il mare».
Avete viaggiato molto per mare?
«Sì, con lo yacht Elettra. Era la nostra casa. Navigavamo da marzo a fine novembre. Quando non lavorava, mi parlava, giocava insieme a me con l’elettricità».
Come si svolgeva una giornata sull’Elettra?
«Ci alzavamo presto. Papà passava molto tempo nella sua cabina-stazione radio, piena di valvole, apparecchi, orologi con i diversi fusi orari. Chiamava lo yacht Elettra “il mio laboratorio galleggiante”. Diceva: “Senza l’Elettra non avrei potuto realizzare tutti gli esperimenti che ho fatto”».
Le capitava di aiutarlo?
«Stava creando il radar. Aveva costruito un apparecchio e posto due boe a distanza precisa, perché l’Elettra potesse entrare di prua. Chiamava me e mia madre per mettere delle lenzuola bianche intorno alla cabina del comandante, così che lo yacht procedesse alla cieca, con il solo ausilio della sua invenzione».
Cosa lo muoveva alla scoperta?
«Voleva che gli esseri umani avessero una vita migliore».
Anche la radio è nata con questo spirito?
«Sì, la gente di mare diceva “Marconi l’ha inventata per noi”. Infatti voleva aiutare i naviganti che solcavano gli oceani senza notizie della famiglia, senza poter chiamare soccorso».
Nelle navi c’erano i «marconisti».
«I Marconi man! Avevano la M sul cappello. Io mi sono battuta per loro quando hanno voluto sostituirli con i computer, ma non è servito».
Suo padre aveva previsto il cellulare?
«Nel 1931 inventò il primo radiotelefono per Papa Pio XI. Era ancora uno strumento ingombrante, ma diceva sarebbe arrivato un momento in cui le persone, con “una scatoletta in tasca”, avrebbero potuto parlare con la fidanzata, la famiglia o con chi avessero voluto».
Parlava molto con suo padre?
«C’era grande dialogo tra noi. Crescendo ho capito di avere un carattere simile al suo. Era un uomo retto e pretendeva che anche gli altri lo fossero. In famiglia era dolce, ma in certi momenti, era molto concentrato sul suo lavoro. Io ho sempre saputo e rispettato la grandezza di mio padre. Quando arrivavamo nei porti lo aspettava una folla».
Suo padre amava l’Italia?
«Teneva molto al suo Paese. Quando è scoppiata la Prima guerra mondiale, ha lasciato il lavoro in America, dove costruiva stazioni radio, per arruolarsi e andare nel Genio, alle comunicazioni. Poi è stato in Marina».
E l’Italia lo amava?
«È stato un dolore quando ha presentato la sua invenzione a 21 anni al governo italiano ricevendo indifferenza. Quindi ha deciso di andare con la madre irlandese in Inghilterra. Lì lo hanno accolto con entusiasmo, gli hanno fatto mostrare le sue invenzioni, hanno visto che funzionavano e lo hanno sostenuto. Avevano capito che erano importanti per l’impero della regina Vittoria».
Sono gli anni del grande esperimento?
«Nel 1895 ha fatto la prima trasmissione radio a Sasso Marconi, dalla villa dei genitori, attraverso la collina. A partire da lì ha presentato l’invenzione, poi accolta in Inghilterra. Ha costruito stazioni radio nel mondo. La prima che ha ricevuto una trasmissione transatlantica era in Canada, il 12 dicembre 1901, alle 12:30, sull’Isola del Newfoundland».
Sono racconti che le faceva lui stesso?
«Sì. Me ne parlava. Il giorno della prima trasmissione c’era poi un assistente che lavorava al Ministero delle Comunicazioni di Londra, Mister Kemp. Mio padre, che lo portava con sé, disse: “Can you hear anything?”, e lui, “Yes!”. Erano i tre punti della lettera S. Il telegrafo senza fili era diventato realtà».
Un uomo capace di superare ostacoli…
«Ha avuto una vita avventurosissima. La stazione radio restò poi distrutta da una bufera di neve. Lui non si è perso d’animo, ne ha costruita subito un’altra».
Quanto è stato importante il contesto familiare per lo sviluppo delle invenzioni di suo padre?
«La mia nonna irlandese ha creduto ciecamente nel figlio. Il padre invece era preoccupato, temeva perdesse gli anni più importanti dello studio per giocare con l’elettricità. Però lo aveva abbonato a una rivista sulle scoperte in questo campo. In fondo anche lui lo sosteneva. E poi mia madre, Maria Cristina Bezzi-Scali, lo ha seguito sempre».
È stata testimone anche dei colloqui tra Pio XI e suo padre.
«Pio XI obbligava mia madre a portarmi alle udienze private. Mio padre era legatissimo al Papa, al Vaticano, era un uomo di grandissima fede, credeva in Dio, quell’Essere superiore che gli aveva messo a disposizione le forze della natura per dare beneficio agli uomini, per salvare le loro vite, per dare loro la possibilità di comunicare».
Non è scontato per uno scienziato avere questo rapporto con il divino.
«Mio padre ha offerto al Papa la Radio Vaticana. Il Pontefice aveva espresso questo desiderio e lui era d’accordissimo, infatti aveva pensato: “Il Papa dovrebbe avere la stazione radio per parlare al mondo e dare la benedizione Urbi et Orbi”. Così nel febbraio 1931 è stata inaugurata».
Anche Pio XII ha avuto un ruolo importante nella vostra vita familiare.
«Eugenio Pacelli era già legato a mio nonno, il conte Francesco Bezzi-Scali, veniva in questa casa, per dare lezioni di religione a Cristina, mia madre. È stato il responsabile del matrimonio dei miei, capì il loro grande amore. Da segretario di Stato mi battezzò e da Papa mi amministrò la prima comunione e la cresima».
Grazie a Marconi si salvarono molte vite del Titanic.
«Nel 1912 c’è stata la tragedia. Lui era stato invitato a bordo del Titanic come ospite d’onore, ma per fortuna non ha preso parte. Non amava la mondanità. Da New York ha seguito tutta la tragedia, è poi andato al porto a ricevere i sopravvissuti».
Pensa che suo padre dovrebbe essere più ricordato?
«I ragazzi vengono da me a lamentarsi perché non trovano niente sui libri. Se uno va all’estero c’è un grande entusiasmo. La scuola in questo è carente, c’è solo il nome e la data del primo esperimento. Mio padre è un grande esempio».
Era più Marconi l’inventore o era più suo padre?
«L’inventore. Ovviamente era anche mio padre, che adoravo. Vedevo, però, la sua importanza. Quando è mancato ci è cascato il mondo addosso. Mia madre ha voluto fossi presente a tutte le commemorazioni che gli hanno dedicato. Papà è morto il giorno del mio settimo compleanno. Dopo ho sentito la differenza. Nessuno è stato come mio padre».
Come fa a ricordare tutto?
«Ricordo meglio il tempo con mio padre che quello successivo. Dopo… dopo è come una nebbia. E poi non c’era niente da ricordare, la guerra… quando mio padre è mancato, nel 1937, tutte le stazioni radio, anche in Paesi lontani e nemici tra loro, tacquero per due minuti. Il mondo per due minuti tornò al silenzio precedente il 1895».
Articolo del Corriere della Sera del 6 dicembre, di Eugenio Murrali